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Il padre gridò:
«Entra lo stesso.»
L'uscio s'aperse e Mario vide entrare la maggiore delle Jondrette, con una candela in mano. Era come al mattino, soltanto, a quella luce, più spaventosa.
Ella si diresse senz'altro verso il letto. Mario ebbe un inesprimibile momento d'ansietà; ma vicino al letto si trovava uno specchio appeso al muro, ed a quello ella s'era diretta. S'alzò in punta di piedi e vi si guardò; si sentiva nella stanza vicina un rumore di ferraglie smosse.
Ella si ravviò i capelli col palmo della mano e fece un sorriso allo specchio, mentre canticchiava colla sua voce rotta e cavernosa:
L'amor nostro è durato otto giorni appena.
Come volan gl'istanti della felicità!
D'adorarsi otto giorni non valeva la pena!
Dovrebbe durar sempre d'amor la bella età!
Dovrebbe durar sempre! Sempre durar, così!
Pure, Mario tremava; gli pareva impossibile ch'ella non lo sentisse respirare.
Ella si diresse verso la finestra e guardò fuori, parlando ad alta voce, con quella sua aria folle.
«Com'è brutta, Parigi, quando si mette la camicia bianca!» disse.
Tornò allo specchio e si fece ancora degli sberleffi, contemplandosi successivamente di faccia e di tre quarti.
«Ebbene!» gridò il padre. «Che stai facendo?»
«Sto guardando sotto il letto e sotto i mobili,» ella rispose, continuando ad accomodarsi i capelli; «non c'è nessuno.»
«Torna subito, bestia!» gridò il padre. «Non perdiamo tempo!»
«Eh, vengo, vengo!» ella disse. «Non si ha mai il tempo di far nulla, nella loro baracca!»
E canticchiò:
Per raggiungere la gloria, quaggiù m'abbandonate
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Mario Jondrette Mario Parigi
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