Il carbone era ardente e lo scaldino arroventato; ed una fiamma azzurra, che si agitava sopra di esso, aiutava a distinguere la forma dello scalpello comperato da Jondrette in via Pietro Lombardo, che arrossava nella brace in cui era immerso. Si vedeva in un angolo vicino all'uscio, come se fossero preparati per un uso previsto, due mucchi che sembravano, l'uno di ferri, l'altro di corde. Tutto ciò, per chi non avesse saputo nulla di quello che si stava preparando, avrebbe fatto ondeggiare lo spirito fra due idee, una sinistra, l'altra assai semplice: la tana così rischiarata rassomigliava piuttosto a una fucina che a una bocca dell'inferno, e Jondrette, visto a quella luce, aveva piuttosto l'aspetto d'un demonio che d'un fabbro.
Il calore del braciere era tale, che la candela posta sul tavolo si fondeva dalla parte dello scaldino e si consumava di sbieco. Una vecchia lanterna cieca, di rame, degna di Diogene divenuto Cartouche, era posta sul camino.
Lo scaldino, collocato proprio sul focolare, a fianco dei tizzoni quasi spenti, esalava il suo vapore nel condotto del camino e non spandeva odore alcuno.
La luna, entrando dai quattro riquadri della finestra, proiettava il suo candore nella stamberga purpurea e fiammeggiante e, per la poetica fantasia di Mario, sognatore anche nel momento dell'azione, era come un pensiero del cielo, congiunto ai sogni deformi della terra.
Un soffio d'aria, che penetrava dal vetro rotto, contribuì a dissipare l'odore e a celare lo scaldino.
Il covo Jondrette era, se ci si ricorda quanto abbiamo detto a proposito della catapecchia Gorbeau, mirabilmente scelto per servire da teatro ad un episodio di violenza cupa e da involucro a un delitto: era la stanza più interna della casa più isolata del viale più deserto di Parigi.
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