XIX • PREOCCUPARSI DEGLI SFONDI OSCURINon appena seduto, il signor Leblanc voltò gli occhi verso i lettucci vuoti.
«Come va la povera piccola ferita?» chiese.
«Male,» rispose Jondrette con un sorriso doloroso e riconoscente; «malissimo, mio degno signore. Mia figlia maggiore l'ha condotta all'ospedale della Bourbe a farsi medicare; le vedrete, perché torneranno subito.»
«Mi pare che la signora Fabantou stia meglio,» riprese Leblanc, gettando uno sguardo sul bizzarro abbigliamento della Jondrette che, ritta fra lui e l'uscio, come se già sorvegliasse l'uscita, l'osservava in atteggiamento minaccioso e quasi aggressivo.
«È moribonda,» disse Jondrette; «ma che volete signore? Ha tanto coraggio, quella donna! Non è una donna, è un bue.»
La Jondrette, commossa dal complimento, esclamò, con la leziosaggine d'un mostro solleticato:
«Tu sei sempre troppo buono con me, caro Jondrette!»
«Jondrette?» disse Leblanc. «Io credevo che vi chiamaste Fabantou.»
«Fabantou, detto Jondrette!» ribattè lesto il marito. «soprannome d'artista!»
E, lanciando alla moglie un'alzata di spalle che il signor Leblanc non vide, proseguì con una inflessione di voce enfatica e carezzevole:
«Oh, infatti abbiamo sempre convissuto insieme benissimo, questa povera cara ed io! Che cosa ci rimarrebbe, se non avessimo questo? Siamo tanto disgraziati, mio rispettabile signore! Abbiamo braccia e non troviamo lavoro, abbiamo buona volontà e non abbiamo occupazione! Non so in che modo il governo provveda a ciò; ma parola d'onore, signore (io non sono giacobino, signore, non sono democratico e non voglio male), se fossi io, i ministri, sulla mia parola più sacra, andrebbe diversamente.
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