Rivincita. Oggi sono io che ho le carte in mano! Siete fritto galantuomo! Oh, me la rido, davvero! C'è cascato, nella pania. Gli ho detto ch'ero attore, che mi chiamavo Fabantou, che avevo recitato colla Mars, con la Muche, che il mio padrone di casa voleva esser pagato domani 4 febbraio; e egli non s'è nemmeno accorto che l'8 gennaio e non il 4 febbraio è una scadenza! Assurdo cretino! E mi porta quattro brutti filippi? Canaglia! Non ha nemmeno avuto il cuore d'arrivare a cento franchi! E come beveva le mie scempiaggini! Mi divertivo, dicevo: 'Babbeo, sei nelle mie mani. Stamattina ti lecco le zampe, ma stasera ti roderò il cuore!'
Thénardier si fermò: era sfiatato. Il suo piccolo petto esile ansava come un mantice da fucina, lo sguardo era pieno di quell'ignobile felicità della creatura debole, crudele e vile, che può finalmente abbattere quanto ha temuto, insultare quanto ha adulato, gioia d'un nano che metta il tallone sulla testa di Golia, d'uno sciacallo che incominci a straziare un toro malato, abbastanza morto per non potersi più difendere, abbastanza vivo per soffrire ancora.
Leblanc non l'interruppe; ma gli disse quand'ebbe finito:
«Non so che cosa vogliate dire. Vi sbagliate; sono un uomo poverissimo, niente affatto milionario. Non vi conosco: mi scambiate per un altro, certo.»
«Ah!» rantolò Thénardier. «Bel giochetto! Ci tenete a questa facezia? Vi s'imbroglia la lingua, vecchio mio! Ah, non vi ricordate? Non vedete chi sono?»
«Vi chiedo scusa, signore,» rispose Leblanc con una cortesia che in un simile momento aveva qualche cosa di strano e di imponente; «vedo che siete un delinquente.
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