Il vecchio, ch'era sul letto e pareva ubriaco, scese dal suo giaciglio e arrivò traballando, con un martello da stradino in pugno. Uno dei "fuochisti" del quale la candela rischiarava il volto impiastricciato e in cui Mario, malgrado ciò, riconobbe Panchaud, detto Primaverile, o Bigrenaille, alzava sulla testa di Leblanc una specie di clava formate da due palle di piombo, collegate da una traversa di ferro.
      Mario non poté resistere a quello spettacolo. «Perdonami, babbo!» pensò, e il suo dito cercò il grilletto della pistola. Il colpo stava per partire, quando la voce di Thénardier gridò:
      «Non gli fate del male!»
      Quel tentativo disperato della vittima, invece d'esasperare Thénardier, l'aveva calmato. V'erano in lui due uomini, il feroce e lo scaltro. Fino a quel momento, nel traboccar del trionfo, davanti alla preda abbattuta, che più non si muoveva, l'uomo feroce aveva dominato; quando la vittima si dibatté e parve volesse lottare, lo scaltro riapparve e prese il sopravvento.
      «Non gli fate del male!» ripeté. E, come primo successo, fermò la pistola pronta a sparare e paralizzò Mario, che vide sparire l'urgenza di fronte a quella nuova frase, e considerò conveniente attendere ancora. Chissà che non avesse a sorgere qualche probabilità che lo liberasse dalla spaventosa alternativa di lasciar perire il padre di Ursula o di perdere il salvatore del colonnello?
      Una lotta erculea s'era impegnata. Con un pugno in pieno petto il signor Leblanc aveva mandato il vecchio ruzzoloni in mezzo alla camera, poi, con due manrovesci, aveva abbattuto due altri assalitori e ne teneva uno sotto ciascun ginocchio mentre i miserabili rantolavano sotto quella pressione come sotto una macina di granito; ma gli altri quattro avevano afferrato il terribile vecchio per le braccia e per la nuca e lo tenevano chino sui due "fuochisti" atterrati.