Del resto, il suo linguaggio, improntato ad una specie d'insolenza moderata e sorniona, era riservato e quasi scelto; e in quel miserabile che un istante prima era solo un brigante si sentiva ora «l'uomo che ha studiato da prete».
      Il silenzio serbato dal prigioniero, quella precauzione che giungeva fino all'oblio della cura della propria vita, quella resistenza opposta al primo movimento della natura, che è quello di gridare, tutto ciò, dobbiamo dirlo, riusciva importuno a Mario, da quando era stato rilevato e lo stupiva pensosamente.
      L'osservazione tanto fondata di Thénardier rendeva ancor più oscure agli occhi di Mario le misteriose profondità sotto le quali si nascondeva quella figura grave e strana alla quale Courfeyrac aveva appioppato il nomignolo di signor Leblanc. Ma, chiunque egli fosse, circondato com'era da carnefici, per metà immerso, per così dire, in una fossa che gli si andava sprofondando sotto ad ogni istante, tanto davanti al furore quanto davanti alla dolcezza di Thénardier, quell'uomo rimaneva impassibile; e Mario non poteva far a meno d'ammirare in un momento simile quel volto superbamente malinconico. Era evidentemente un'anima inaccessibile allo spavento e che non sapeva che cosa significasse smarrimento; era uno di quegli uomini che dominano lo stupore delle situazioni disperate. Per estrema che fosse la crisi, per inevitabile che fosse la catastrofe, non v'era in lui nulla dell'agonia dell'annegato, che spalanca sott'acqua occhi orribili.
      Thénardier s'alzò senza affettazione, si diresse verso il camino, tolse il paravento, che appoggiò sul vicino lettuccio e smascherò in tal modo lo scaldino pieno di brace ardente nella quale il prigioniero poteva perfettamente scorgere lo scalpello portato al calor bianco e picchiettato qua e là di stellette.