Egli riprese:
«Firmate. Che nome avete?»
«Urbano Fabre,» disse il prigioniero.
Thénardier, col gesto d'un gatto, cacciò in fretta la mano in tasca e ne trasse il fazzoletto tolto a Leblanc; ne cercò le iniziali ricamate e le avvicinò alla candela.
«U.F. Proprio così: Urbano Fabre. Ebbene, firmate U.F.»
Il prigioniero firmò.
«Siccome ci voglion due mani, per piegar la lettera, datemela, la piegherò io.»
Fatto questo, Thénardier riprese:
«Mettete l'indirizzo. Signorina Fabre, al vostro domicilio. So che abitate non molto lontano di qui, nelle vicinanze di Saint-Jacques du Haut Pas, dal momento che andate a messa là, ogni giorno; ma non so in quale via. Vedo che capite la vostra situazione; come non avete mentito per il vostro nome, non mentirete per l'indirizzo. Mettetelo voi.»
Il prigioniero rimase un momento sopra pensiero, poi prese la penna e scrisse:
«Signorina Fabre, presso il signor Fabre, via Saint-Dominique-d'Enfer, n. 17.»
Thénardier afferrò la lettera con una specie di convulsione febbrile.
«Moglie!» gridò.
La Thénardier accorse.
«Ecco la lettera. Sai che cosa devi fare. Giù v'è una carrozza da piazza: parti subito e torna idem.»
E rivolgendosi all'uomo dal maglio:
«Tu, dal momento che ti sei tolta la sciarpa,» disse «accompagnerai la padrona; salirai dietro la carrozza. Sai dove hai lasciato la carrozzella?»
«Sì,» disse l'uomo.
E, deposto in un angolo il maglio, seguì la Thénardier.
Mentre stavano per andarsene, Thénardier passò il capo traverso l'uscio semiaperto e gridò nel corridoio:
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