L'enigma era più impenetrabile che mai; chi era quella piccina che Thénardier aveva pure chiamata l'Allodola? Era la sua «Ursula»? Il prigioniero non era parso commosso a quella parola di Allodola ed aveva risposto colla maggior naturalezza del mondo: Non so che cosa vogliate dire. D'altra parte, le due lettere U.F. erano spiegate, significavano Urbano Fabre ed Ursula non era più Ursula. Questo era ciò che Mario vedeva più chiaramente. Una specie di spaventoso fascino lo inchiodava lì, a quel posto, dal quale osserva e dominava tutta quella scena; stava lì, quasi incapace d flessioni e di movimento, come annientato da tante orribili cose viste così da vicino, e attendeva, sperando in qualche incidente, non importa quale, senza poter raccozzare le sue idee, senza sapere qual partito prendere.
«In ogni caso,» diceva fra sé «se è lei l'Allodola, lo vedrò bene, dato che la Thénardier la condurrà qui. Allora non ci sarà altro da dire: darò la vita e il sangue, se occorre, ma la libererò! Nulla mi fermerà.»
Passò così quasi mezz'ora. Thénardier sembrava assorto in una meditazione tenebrosa, e il prigioniero non si muoveva; pure, sembrava a Mario di sentire di tanto in tanto un lieve rumore sordo, dalla sua parte.
Ad un tratto, Thénardier apostrofò il prigioniero:
«Guardate, signor Fabre tant'è che vi dica subito tutto.»
Quelle poche parole pareva indicassero il principio d'una spiegazione e Mario stette in ascolto. Thénardier continuò.
«La mia consorte sta per tornare: non vi spazientite.
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