«Le mie figlie!»
«Sono all'ombra,» disse Javert.
Intanto gli agenti avevano scorto l'ubriaco, addormentato dietro l'uscio e lo scrollavano. Egli si svegliò, balbettando:
«Hai finito, Jondrette?»
«Sì,» rispose Javert.
I sei banditi legati stavano in piedi; del resto, tre impiastricciati di nero e tre mascherati, avevano ancora la loro apparenza di spettri.
«Tenete le maschere,» disse Javert.
E, passandoli in rivista, collo sguardo d'un Federico II alla parata di Postdam, disse ai tre "fuochisti":
«Buondì, Bigrenaille; buondì, Brujon; buondì Mezzo Quattrino.»
Poi, volgendosi verso le tre maschere, disse all'uomo dal maglio:
«Buongiorno, Gueulemer.»
E all'uomo dal randello:
«Buongiorno, Babet.»
E al ventriloquo:
«Salve, Claquesous.»
In quel momento, scorse il prigioniero dei banditi il quale dall'ingresso degli agenti di polizia in poi, non aveva pronunciato parola e teneva il capo chino.
«Slegate il signore,» disse Javert «e che nessuno esca!»
Detto ciò, sedette maestosamente davanti alla tavola, dov'eran rimasti la candela e il calamaio, levò di tasca una carta bollata e incominciò il suo verbale. Quand'ebbe scritto le prime righe, con le rituali formule, alzò gli occhi:
«Fate avvicinare il signore che questi signori avevano legato.»
Gli agenti si guardarono in giro.
«Ebbene,» chiese Javert «dov'è?»
Il prigioniero dei banditi, il signor Leblanc, Urbano Fabre, il padre di Ursula e dell'Allodola, era scomparso.
La porta era sorvegliata, ma non la finestra. Non appena s'era visto slegato e mentre Javert redigeva il verbale, aveva approfittato della confusione, del tumulto, dell'ingombro e dell'oscurità e in un momento in cui l'attenzione non era rivolta a lui, s'era gettato dalla finestra.
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