Questo chiedeva l'Inghilterra agli Stuarts, dopo il Protettore; questo chiese la Francia ai Borboni, dopo l'impero.
Le garanzie sono una necessità dei tempi: bisogna accordarle. I principi le «concedono», ma in realtà è la forza delle cose che le dà. Verità, questa, profonda ed utile a sapersi e della quale gli Stuarts non s'accorsero nel 1660 e che i Borboni non intravidero neppure nel 1814.
La famiglia predestinata tornata in Francia quando Napoleone crollò, ebbe la fatale dabbenaggine di credere d'esser lei a dare e di poter riprendere quel che aveva dato, di credere che la casa di Borbone possedesse il diritto divino e la Francia non possedesse nulla, che il diritto politico concesso nella carta di Luigi XVIII fosse soltanto un ramo del diritto divino, staccato dalla casa di Borbone e graziosamente regalato al popolo, fino al giorno in cui fosse piaciuto al re di riprenderne possesso. Eppure, dal dispiacere che il dono le recava, la casa di Borbone avrebbe pur dovuto sentire che la cosa non veniva da lei.
Essa si mostrò riottosa al diciannovesimo secolo. Fece brutta cera ad ogni sviluppo della nazione. Per servirci d'una parola triviale, ossia popolare e vera, torse il muso; e il popolo lo vide.
Credette d'aver la forza, perché l'impero era stato portato via al suo cospetto, come uno scenario, e non s'accorse che era stata sostituita ad esso nello stesso modo; non vide che si trovava anch'essa in quella stessa mano che aveva levato dal trono Napoleone. Credette d'aver radici, perché era il passato, e s'ingannava; faceva parte del passato, ma tutto il passato era la Francia.
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