Le radici della società francese non erano nei Borboni, ma nella nazione; quelle oscure e vivaci radici non costituivano affatto il diritto d'una famiglia, ma la storia d'un popolo. Esse erano dappertutto, fuorché sotto il trono.
La casa di Borbone era per la Francia il legame illustre e sanguinoso della sua storia, ma non era più l'elemento principale del suo destino e la base necessaria della sua politica. Si poteva far a meno dei Borboni, se n'era fatto a meno per ventidue anni; v'era stata soluzione di continuità, ed essi non se n'erano accorti. Come avrebbero potuto accorgersene essi che s'immaginavano Luigi XVII regnante il 9 termidoro e Luigi XVIII regnante il giorno di Marengo? Mai, dall'origine della storia, i principi eran stati tanto ciechi al cospetto dei fatti e della porzione d'autorità divina che i fatti contengono e promulgano; mai questa bassa pretesa che si chiama il diritto dei re aveva negato fino a quel punto il diritto superiore.
Errore capitale, questo, che condusse quella famiglia a riporre le mani sulle garanzie «concesse» nel 1814, sulle concessioni, com'essa le chiamava. Triste cosa! Ciò ch'essa chiamava le sue concessioni, eran le nostre conquiste! Ciò che essa chiamava le nostre usurpazioni, erano i nostri diritti!
Quando le parve giunta l'ora, la restaurazione, ritenendosi vincitrice di Bonaparte e ben radicata nel paese, ossia credendosi forte e profonda, prese bruscamente la sua decisione e rischiò il colpo. Un mattino si rizzò di fronte alla Francia e, alzando la voce, contestò il titolo collettivo e il titolo individuale, alla nazione la sovranità, al cittadino la libertà. In altre parole, negò alla nazione ciò che la faceva nazione e al cittadino ciò che lo faceva cittadino.
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