Questo è il fondo di quegli atti famosi che vengon chiamati le ordinanze di luglio.
La restaurazione cadde. Cadde giustamente; eppure, diciamolo, essa non era stata assolutamente ostile a tutte le forme del progresso e grandi cose s'eran fatte, al suo fianco.
Sotto la restaurazione la nazione s'era avvezza alla discussione nella calma, il che era mancato alla repubblica, e alla grandezza nella pace, il che era mancato all'impero. La Francia libera e forte era stata uno spettacolo incoraggiante per gli altri popoli d'Europa. La rivoluzione aveva avuto la parola sotto Robespierre; il cannone l'aveva avuto sotto Napoleone; sotto Luigi XVIII e sotto Carlo X, toccò la parola all'intelligenza. Cessò il vento e si riaccese la torcia. Si vide fremere sulle cime serene la pura luce degli spiriti, spettacolo magnifico, utile e incantevole; si videro lavorare per quindici anni, in piena pace, in piena piazza pubblica, quei grandi principî così vecchi per il pensatore, così nuovi per l'uomo di stato: l'uguaglianza di fronte alla legge, la libertà di coscienza, la libertà di parola, la libertà di stampa, l'accessibilità per tutte le attitudini a tutte le funzioni. E la cosa andò in questo modo fino al 1830; i Borboni furono uno strumento di civiltà che si ruppe nelle mani della provvidenza.
La caduta dei Borboni fu piena di grandezza, non da parte loro, ma da parte della nazione; essi lasciarono il trono con gravità, ma senza autorità, e la loro discesa nell'oscurità non fu una di quelle scomparse solenni che lasciano una commossa tristezza nella storia: non fu né la calma spettrale di Carlo I, né il grido d'aquila di Napoleone.
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