i interiori, gli sconvolgimenti nascosti e oscuri degli animi, tutto ciò, in una parola, che potrebbe esser chiamato le invisibili correnti delle coscienze; accettato dalla superficie, ma poco d'accordo colla Francia nell'intimo, abile nel cavarsela colla finezza, troppo governante e insufficientemente regnante; primo ministro di se stesso; ottimo per fare della piccolezza della realtà un ostacolo all'immensità delle idee; fatto in modo da congiungere ad una vera facoltà creatrice di civiltà, d'ordine e di organizzazione non so quale spirito di procedura e di cavillo; fondatore e procuratore d'una dinastia, con qualche cosa di Carlomagno e insieme d'un avvocato; insomma, figura alta e originale, principe che seppe esercitare il potere malgrado l'inquietudine della Francia, e la potenza, malgrado la gelosia dell'Europa, Luigi Filippo sarà classificato fra gli uomini eminenti del suo secolo, e sarebbe stato collocato fra i più illustri governanti della storia, se avesse un poco amato la gloria e avesse avuto il senso di ciò che è grande nella stessa misura del senso di ciò ch'è utile.
Luigi Filippo era stato bello e, invecchiando, era rimasto grazioso. Non sempre accetto alla nazione, lo era sempre alla folla: piaceva. Aveva il dono del fascino. Gli faceva difetto la maestà; non portava la corona, sebbene re, né i capelli bianchi, sebbene vecchio. I suoi modi erano del vecchio regime e le sue abitudini del nuovo miscuglio, questo, di nobile e di borghese, che s'addiceva al 1830. Luigi Filippo era la transizione regnante; aveva conservato l'antica pronuncia e l'antica ortografia, che metteva al servizio delle opinioni moderne; amava la Polonia e l'Ungheria, ma scriveva polonois, anziché polonais, per polacco, e pronunciava hongrais, invece di hongrois, per ungherese.
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