Portava la divisa della guardia nazionale, come Carlo X, e il cordone della Legion d'onore, come Napoleone.
Andava poco a messa, niente a caccia e mai all'opera, ossia era incorruttibile ai sacrestani, ai guardacaccia e alle ballerine, il che faceva parte della sua popolarità borghese. Non aveva alcun seguito; usciva coll'ombrello sotto il braccio, e quell'ombrello ha fatto parte a lungo della sua aureola. Era un po' muratore, un po' giardiniere e un po' medico, tanto da poter salassare un postiglione caduto da cavallo. Luigi Filippo non usciva senza la lancetta da chirurgo, più di quanto Enrico III non uscisse senza pugnale; ed i realisti schernivano quel re ridicolo, il primo che abbia versato il sangue per guarire.
Nei motivi di rimprovero della storia a Luigi Filippo v'è una sottrazione da fare: v'è ciò che accusa la regalità, ciò che accusa il regno e ciò che accusa il re; tre colonne che danno, ciascuna, un diverso totale. Il diritto democratico confiscato, il progresso divenuto interesse secondario, le proteste della piazza violentemente represse, l'esecuzione militare delle insurrezioni, la sommossa passata a fil di spada, la via Transnonain, i consigli di guerra, la realtà politica sopraffatta dalla legalità, il governo esercitato in combutta con trecentomila privilegiati, sono colpe della regalità; il Belgio rifiutato, l'Algeria troppo duramente conquistata e, come l'Italia da parte degli inglesi, più colla barbarie che colla civiltà, la mancata fede verso Abd el Kader, Blaye, Deutz comperato e Pritchard pagato, sono le colpe del regno; la politica più familiare che nazionale è colpa del re.
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