Come durante la rivoluzione, in quelle taverne si trovavano parecchie donne patriote, che abbracciavano i nuovi venuti.
Si verificavan pure altri fatti significativi. Un uomo entrava in una taverna, beveva e se ne andava, dicendo: Oste, quel che ti debbo, te lo pagherà la rivoluzione. Da un taverniere di fronte alla via Charonne, si nominavano gli agenti rivoluzionari e lo scrutinio si faceva nei beretti.
Alcuni operai si riunivano in casa d'un maestro di scherma che dava lezioni in via Cotte. V'era là un trofeo d'armi da spadoni di legno, da mazze, da bastoni e fioretti; e un giorno, vennero tolti i bottoni ai fioretti. Un operaio diceva. Siamo in venticinque; ma non contano me, perché mi considerano come una macchina. Quella macchina, in seguito è state Quénisset.
Le cose che venivano premeditate prendevano a poco a poco una strana notorietà. Una donna scopava la soglia di casa, dicendo a un'altra: Da qualche tempo si lavora molto a far cartucce. Si leggevano in piena via proclami rivolti alle guardie nazionali dei dipartimenti; uno di quei proclami era firmato: Burtot, vinaio.
Un giorno, sulla soglia della bottega d'un liquorista del mercato Lenoir, un uomo dalla barba incolta e dall'accento italiano saliva sopra un paracarro e leggeva ad alta voce uno scritto singolare, che pareva emanasse da un potere occulto. Alcuni gruppi s'eran formati all'intorno e applaudivano; e i passi che più agitavan la folla sono stati raccolti e scritti. «Le nostre dottrine sono ostacolate, i nostri proclami lacerati, i nostri attacchini spiati e buttati in prigione…». «La catastrofe che s'è verificata nei cotoni ha convertito alle nostre idee parecchi che si tenevan nel giusto mezzo.
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