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      In tempi di rivoluzione, la miseria è ad un tempo causa ed effetto, e il colpo ch'essa vibra le ricade sopra. Quella popolazione piena di fiere virtù, capace al più alto grado di ardore latente, sempre pronta a prender le armi, alle esplosioni, irritata, profonda e minata, pareva aspettasse soltanto una favilla. Ogni qual volta certe scintille ondeggiano sull'orizzonte, spinte dal vento degli avvenimenti, non si può far a meno di pensare al sobborgo Sant'Antonio e al terribile caso che ha posto alle porte di Parigi quella polveriera di dolori e di idee.
      Le osterie del Sobborgo Antonio, più volte profilate nello schizzo che il lettore sta leggendo, hanno una notorietà storica. In tempo di torbidi, il popolo vi si inebria più di frasi che di vino; una specie di spirito profetico, un effluvio d'avvenire vi circola, gonfiando i cuori e ingrandendo gli animi. Le bettole del sobborgo Sant'Antonio assomigliano a quelle taverne del monte Aventino, erette sull'antro della sibilla e comunicanti colle profonde esalazioni sacre, in cui le tavole eran quasi tripodi, in cui si beveva quello che Ennio chiamava il vino sibillino.
      Il sobborgo Sant'Antonio è un serbatoio di popolo. La scossa della rivoluzione vi produce fessure dalle quali cola la sovranità popolare. E questa sovranità può far male e ingannarsi al pari d'ogni altra; ma, anche traviata, rimane grande. Si può dire di lei come del ciclope cieco, Ingens.
      Nel '93, secondoché l'idea ondeggiante era buona o cattiva, secondoché era il giorno del fanatismo o dell'entusiasmo, dal sobborgo Sant'Antonio partivano, ora legioni selvagge, ora bande eroiche.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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