» Enjolras era contento. La fornace mandava calore; in quel momento si diffondeva la sventagliata dei suoi amici, ed egli componeva nel suo pensiero, coll'eloquenza filosofica e penetrante di Combeferre, l'entusiasmo cosmopolita di Feuilly, la spontaneità di Courfeyrac, la risata di Bahorel, la malinconia di Jean Prouvaire, la scienza di Joly e i sarcasmi di Bossuet, una specie di scintillìo elettrico che prendeva fuoco nello stesso tempo, un po' dappertutto. Tutti al lavoro e certo il risultato avrebbe corrisposto allo sforzo; benissimo. Ciò lo fece pensare a Grantaire. «To'» disse fra sé. «La barriera del Maine mi fa deviare pochissimo dalla mia strada. Se mi spingessi fino a Richefeu? Vediamo un po' che cosa fa Grantaire, a che punto si trova.»
Suonava l'una al campanile di Vaugirard, quando Enjolras giunse alla fumosa bettola di Richefeu. Spinse la porta, entrò, incrociò le braccia, lasciando richiudersi la porta, che gli venne a urtare le spalle, e guardò nella sala piena di tavoli, d'uomini e di fumo.
Una voce echeggiava in quella nebbia, vivacemente interrotta da un'altra. Era Grantaire, che dialogava con un avversario.
Grantaire seduto, dirimpetto a un'altra faccia, ad una tavola di marmo di Sant'Anna, seminata di grani di crusca e costellata di pezzi di domino, batteva il pugno su quel marmo, ed ecco quel che udì Enjolras:
«Doppio sei.»
«Quattro.»
«Brutto porco! Non ne ho più.»
«Sei morto. Due.»
«Sei.»
«Tre.»
«Asso.»
«Tocca a me.»
«Quattro punti.»
«A stento.»
«A te.»
«Ho fatto uno sbaglio enorme.
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