«Da chi mi posson venire?» si chiedeva Thénardier.
Mario, del resto, era angosciato. Tutto era nuovamente sparito come in un trabocchetto; non vedeva più nulla davanti a sé e la sua vita era ricaduta in quel mistero in cui andava errando a tastoni. Aveva per un momento riveduto vicinissimo, in quell'oscurità, la giovinetta che amava e il vecchio che sembrava suo padre, quegli esseri sconosciuti ch'erano il suo solo interesse e la sua sola speranza al mondo; e nel momento in cui aveva creduto di toccarle, un soffio aveva portato via quelle ombre. Neppure una scintilla di certezza e di verità era scaturita da quell'incontro così spaventoso. Nessuna congettura possibile: non sapeva nemmeno più il nome che aveva creduto di sapere, poiché, certo, non era più Ursula, e l'Allodola era un soprannome. E che pensare del vecchio? Cercava proprio di nascondersi alla polizia? L'operaio dai capelli bianchi da lui incontrato nei pressi degli Invalidi gli era tornato alla memoria: ormai, appariva probabile che quell'operaio e il signor Leblanc fossero lo stesso uomo. Si travestiva, dunque? Quell'uomo aveva un lato eroico e uno equivoco. Perché non aveva gridato al soccorso? Perché era fuggito? Era sì o no, il padre della giovinetta? E infine, era davvero l'uomo che Thénardier aveva creduto di riconoscere? Thénardier s'era forse ingannato? Ecco altrettanti problemi senza soluzione. È vero che tutto ciò non toglieva nulla all'angelico fascino della giovinetta del Lussemburgo. Oh, straziante ambascia!
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