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      E se ne andava al campo dell'Allodola, dove vedeva più che mai la stella e meno che mai Savigny e Gans.
      Rincasava e tentava di riprendere il suo lavoro; ma non vi riusciva. Non v'era mezzo di riannodare uno solo dei fili rotti nel suo cervello; allora diceva fra sé: «Domani non uscirò, perché questo m'impedisce di lavorare.» Ma usciva ogni giorno.
      Più che in casa di Courfeyrac, egli abitava nel campo dell'Allodola. Ecco il suo vero indirizzo: Boulevard della Santé, il settimo albero dopo la via Croulebarbe.
      Quel mattino, aveva abbandonato quel settimo albero e s'era seduto sul parapetto del ruscello dei Gobelins. Un allegro sole attraversava le foglie dischiuse di fresco e tutte luminose.
      Pensava a «Lei». E la sua fantasticheria, divenendo rimprovero, ricadeva su lui; pensava dolorosamente alla pigrizia, paralisi dell'anima, che l'invadeva, e a quella tenebra che andava ispessendosi di momento in momento, al punto ch'egli non vedeva già più il sole. E intanto attraverso quel penoso sprigionarsi di idee indistinte, che non eran neppure un monologo, tanto l'azione s'indeboliva in lui, così ch'egli non aveva neanche la forza di volersi desolare, attraverso quella malinconica concentrazione, le sensazioni esterne giungevano fino a lui. Sentiva dietro e sotto di sé, sulle due rive del fiume, le lavandaie dei Gobelins che battevan la biancheria e, sul capo, gli uccelli che cinguettavano e cantavano negli olmi: da un lato il rumore della libertà, della felice noncuranza, dell'ozio alato, dall'altro quello del lavoro.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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