E, cosa che lo faceva profondamente pensare, e quasi riflettere, eran due rumori lieti.
Ad un tratto, nel mezzo della sua estasi angosciata, sentì una voce nota, che diceva:
«To'! Eccolo.»
Alzò gli occhi e riconobbe quella disgraziata fanciulla che una mattina s'era recata da lui, la maggiore delle figlie Thénardier, Eponina (ormai, sapeva come si chiamasse). Cosa strana, sembrava più povera e più bella, due passi che non pareva le fosse possibile fare. Aveva compiuto un duplice progresso, verso la luce e verso la miseria nera. Era scalza e cenciosa come il giorno in cui era entrata così risolutamente nella sua camera; soltanto, i suoi cenci avevan due mesi di più e i buchi eran più grandi, e più sordidi i suoi stracci. Era quella stessa voce roca, quella stessa fronte slavata e aggrinzita dal caldo, quello stesso sguardo sfacciato, smarrito e vacillante; più di prima, aveva nella fisionomia quel che di sgomento deplorevole la prigione subìta aggiunge alla miseria.
Nei capelli, fili di paglia e di fieno, non come Ofelia, per esser diventata pazza al contagio della follia d'Amleto, ma perché s'era coricata in qualche fienile.
Con tutto questo, era bella. Oh, quale astro sei, gioventù!
Intanto s'era fermata davanti a Mario con una certa gioia sul volto livido e qualche cosa che assomigliava a un sorriso. Rimase un momento come se non potesse parlare.
«Vi ho incontrato, dunque!» disse finalmente. «Papà Mabeuf aveva ragione: era proprio su questo viale! Quanto vi ho cercato! Se sapeste!
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Thénardier Eponina Ofelia Amleto Mario Mabeuf
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