Solo gli uccelli vedevan quella curiosità, ed è probabile che le capinere e le cingallegre del secolo scorso abbiano chiacchierato molto sul conto del signor presidente.
Il padiglione, costruito in pietra nello stile Mansart e decorato e ammobiliato nello stile Watteau, arcadico all'interno e antiquato all'esterno, murato da una triplice siepe di fiori, aveva qualche cosa di discreto, di civettuolo e solenne, come si conviene ad un capriccio dell'amore e della magistratura.
Quella casa e quel corridoio, oggi scomparsi, esistevano ancora una quindicina d'anni fa. Nel '93 un calderaio aveva comperato la casa per demolirla; ma non avendone potuto pagare il prezzo, la nazione lo fece fallire, di modo che la casa demolì il calderaio. In seguito rimase disabitata e cadde lentamente in rovina, come tutte le abitazioni alle quali la presenza dell'uomo non comunichi più la vita. Era rimasta ammobiliata del suo vecchio mobilio e sempre da vendere o da affittare, e le dieci o dodici persone che passano ogni anno da via Plumet ne erano avvertite da un cartello ingiallito e illeggibile, appeso alla cancellata del giardino dal 1810.
Verso la fine della restaurazione, quegli stessi passanti poterono notare come il cartello fosse scomparso e le imposte del primo piano perfino aperte. La casa, infatti, era occupata; e le finestre avevano le tendine, segno che v'era una donna.
Nell'ottobre del 1829, un uomo d'una certa età s'era presentato e aveva preso in affitto la casa come stava, compresovi, si capisce, il fabbricato retrostante e il corridoio che faceva capo in via Babilonia.
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