«Papà,» disse, «sto bene, così?» Valjean rispose con una voce che somigliava a quella amara d'un invidioso: «Incantevole!» E, durante la passeggiata, fu come il solito; ma nel rincasare chiese a Cosette:
«Non ti metterai dunque più il tuo vestito e il tuo cappello...?»
Questo accadeva nella stanza di Cosette. Ella si volse verso l'attaccapanni dell'armadio, al quale stavano appese le sue spoglie di collegiale.
«Quella mascherata?» disse. «Che volete che ne faccia, papà? Oh, via, non rimetterò certo più quegli orrori. Con quel coso in testa, sembro la Befana.» Jean Valjean sospirò profondamente.
A partire da quel momento, notò che Cosette, la quale, un tempo, chiedeva solo di restare a casa, dicendo: «Papà, mi diverto di più qui, con voi,» ora chiedeva sempre d'uscire. E infatti, a che serve avere una bella figura e una deliziosa toeletta, se non si fanno vedere?
Notò pure che Cosette non aveva più la stessa simpatia per il cortile posteriore e ora stava volentieri in giardino, e non le spiaceva passeggiare davanti al cancello. Valjean, selvatico, non metteva piede nel giardino e restava nel suo cortile posteriore, come il cane.
Cosette, col sapersi bella, perdé la grazia d'ignorarlo; grazia squisita, poiché la bellezza, accresciuta dall'ingenuità è mirabile, e non è più adorabile d'una innocenza risplendente che cammina tenendo in mano, senza saperlo, la chiave del paradiso. Ma quel che perdette in grazia ingenua, acquistò in fascino pensoso e serio. L'intera sua persona, penetrata delle gioie della gioventù, spirava una splendida malinconia.
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