Cosette non si lamentò, non disse nulla, non fece domande né cercò di chiedere spiegazione alcuna: era già entrata in quel periodo in cui si teme d'esser spiati e di tradirsi. Valjean non aveva nessuna esperienza di quelle miserie, le sole belle e le sole ch'egli non avesse conosciute; perciò non capì il grave significato del silenzio di Cosette. Notò soltanto ch'era divenuta triste, e se ne dolse; da ambo le parti due inesperienze eran alle prese.
Una volta, egli fece una prova; chiese a Cosette:
«Vuoi venire al Lussemburgo con me?»
Un raggio illuminò il viso pallido di Cosette.
«Sì,» rispose.
V'andarono; ma eran trascorsi tre mesi e Mario non vi si recava più, non c'era.
Il giorno dopo, Valjean tornò a chiedere a Cosette:
«Vuoi che andiamo al Lussemburgo?»
Ella rispose tristemente con dolcezza:
«No.»
Jean Valjean fu ferito da quella tristezza e allo stesso tempo straziato dalla dolcezza.
Che stava accadendo in quella mente così giovine e tanto impenetrabile? Che stava compiendovisi? Che accadeva all'anima di Cosette? Talvolta, invece di andare a letto, Valjean rimaneva seduto accanto al suo lettuccio, la testa fra le mani, e passava intere notti a chiedersi: «Che v'è nel pensiero di Cosette?» ed a pensare alle cose alle quali ella poteva pensare.
Oh, quali sguardi dolorosi rivolgeva, in quel momento, verso il chiostro, quella cima incontaminata, quella dimora degli angeli, quell'inaccessibile ghiacciaio della virtù! Con che disperato rapimento contemplava quel giardino del convento, pieno di fiori ignorati e di vergini recluse, in cui tutti i profumi e tutte le anime salivan verso il cielo!
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