La cosa incominciava a stancarlo ed egli prese la risoluzione di tentar di cenare. Andò a gironzolare al di là della Salpêtrière, nei luoghi deserti, perché lì si trovan le buone fortune: dove non c'è nessuno, si trova qualche cosa. E giunse così ad un luogo abitato, che gli parve essere il villaggio d'Austerlitz.
In una delle sue precedenti passeggiatine, aveva notato un vecchio giardino, abitato da un vecchio e da una vecchia e, in quello, un melo passabile. A fianco di quel melo, v'era una specie di ripostiglio per le frutta, mal chiuso, in cui sarebbe stato facile conquistare una mela; una mela è una cena, è una vita. Ciò che perdette Adamo poteva salvare Gavroche. Il giardino dava sopra una viuzza solitaria non selciata e fiancheggiata da cespugli, in attesa delle case: una siepe lo separava da essa.
Gavroche si diresse verso il giardino. Ritrovò la viuzza, riconobbe il melo, constatò il ripostiglio ed esaminò la siepe: una siepe non è che un passo. Il giorno declinava e non v'era un cane in tutta la viuzza. L'ora era buona: Gavroche iniziò la scalata, poi si fermò ad un tratto; nel giardino si stava parlando. Gavroche, allora, guardò attraverso le aperture della siepe.
A due passi da lui, ai piedi della siepe e dall'altro lato, precisamente nel punto in cui l'avrebbe fatto sboccare la breccia ch'egli meditava, v'era in terra una pietra che formava una specie di panca; e su quella era seduto il vecchio del giardino, che aveva dirimpetto a sé la vecchia, ritta in piedi. Costei brontolava e Gavroche, poco discreto, stette in ascolto.
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