La terza notte, mentre la luna calante incominciava ad alzarsi più tardi del solito (poteva esser l'una del mattino), ella intese un grande scoppio di risa e la voce di suo padre, che la chiamava:
«Cosette!»
Ella balzò dal letto, s'infilò la veste da camera e aperse la finestra. Il babbo era giù, sul tappeto erboso.
«T'ho svegliata per rassicurarti,» disse. «Guarda la tua ombra dal cappello a cilindro.»
E le accennava sull'aiuola un'ombra portata, che la luna disegnava e assomigliava infatti abbastanza bene allo spettro d'un uomo col cappello a staio. Era il profilo prodotto da un comignolo di latta col tettuccio, che sporgeva da un tetto vicino.
Anche Cosette si mise a ridere; tutte le sue paurose supposizioni scomparvero e il giorno seguente, mentre pranzava col babbo, ella si divertì alle spese del sinistro giardino frequentato dagli spettri dei comignoli. Jean Valjean tornò tranquillo; quanto a Cosette non stette a guardar per il sottile se il tubo di stufa fosse davvero nella direzione dell'ombra che aveva creduto di vedere e se la luna si trovasse nello stesso punto nel cielo. Né pensò a muovere interrogazioni sulla singolarità d'un comignolo che teme d'esser colto in flagrante delitto e si ritira quando si guarda la sua ombra; poiché l'ombra s'era dileguata, quando Cosette s'era voltata, ed ella aveva pur creduto d'esserne ben sicura. Si rasserenò completamente; la dimostrazione le parve convincente e le uscì dal capo che qualcuno camminasse di sera o di notte in giardino.
Pure, a pochi giorni di distanza, accadde un nuovo incidente.
| |
Cosette Valjean Cosette Cosette
|