Parlavan tutt'e due insieme con parole inintelligibili, perché i singhiozzi mozzavan la voce del più piccino e il freddo faceva battere i denti del maggiore. Il barbiere si volse infuriato e, senza lasciare il rasoio, spingendo il più grandicello colla sinistra e il piccino col ginocchio, li ricacciò entrambi nella via e richiuse la porta, dicendo:
«Far prender freddo alla gente per niente!»
I due fanciulli si rimisero in cammino, piangendo. Intanto si era rannuvolato e incominciava a piovere.
Il piccolo Gavroche li rincorse e li apostrofò.
«Che avete, dunque, marmocchi?»
«Non sappiamo dove andare a dormire» disse il maggiore.
«Tutto qui?» rispose Gavroche. «Bella roba! E per questo si piange? Che sciocchi!»
E prendendo, attraverso la sua superiorità un po' motteggiatrice, un accento d'autorità intenerita e di dolce protezione:
«Venite con me, bambocci,» disse.
«Sì, signore,» fece il maggiore.
E i due fanciulli lo seguirono, come avrebbero seguito un arcivescovo. Avevan cessato di piangere.
Gavroche fece loro risalire via Sant'Antonio, in direzione della Bastiglia. Mentre camminava, gettò un'occhiata indignata e retrospettiva alla bottega del barbiere.
«Non ha cuore, quel tagliapidocchi,» brontolò. «È un inglese»
Una sgualdrina, vedendoli camminare in fila tutt'e tre, Gavroche in testa, scoppiò in una fragorosa risata, con assoluta mancanza di rispetto al gruppo.
«Buon giorno, signorina Omnibus,» le disse Gavroche.
Un momento dopo, tornatogli in mente il parrucchiere, aggiunse:
«Mi sbaglio: non è un tagliapidocchi, è un serpente.
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