«Olà!» esclamò Gavroche. «Che significa questo? Torna a piovere! Buon Dio, se la cosa continua, disdico l'abbonamento.»
E si rimise in cammino.
«Fa lo stesso,» riprese, gettando un occhiata alla mendicante che si imbacuccava nello scialle, «eccone una che ha una meravigliosa scorza.»
E, guardando la nube, gridò:
«Piglia su!»
I due bimbi camminavano sulle sue orme.
Mentre passavano davanti ad una di quelle spesse reticelle provviste d'inferriata che indicano la bottega d'un fornaio (poiché il pane, come l'oro, vien messo dietro le inferriate), Gavroche si volse:
«Dunque, marmocchi, abbiamo cenato?»
«Signore,» rispose il più grande «non abbiamo mangiato da questa mattina.»
«Siete dunque senza babbo e senza mamma?» riprese maestosamente Gavroche.
«Scusateci, signore, abbiamo papà e mamma, ma non sappiamo dove sono.»
«Certe volte è meglio così che saper dove siano,» disse Gavroche ch'era un pensatore.
«Da due ore che camminiamo,» disse il maggiore «abbiamo cercato qualche cosa negli angoli; ma non troviamo niente.»
«Lo so,» fece Gavroche. «Mangiano tutto i cani.»
E riprese, dopo una pausa:
«Ah! Dunque, abbiamo perduto i nostri autori e non sappiamo più che cosa ne abbiam fatto! Non sta bene far così, monellucci miei! È stupido smarrire in codesto modo le persone di età. Eppure, bisogna ben mangiare.»
Del resto, egli non rivolse loro domanda alcuna. Che c'è di più naturale d'esser senza domicilio?
Il maggiore dei marmocchi, quasi del tutto tornato alla pronta noncuranza della fanciullezza, diede in questa esclamazione:
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Gavroche Dio Gavroche Gavroche Gavroche Gavroche
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