«È proprio un grande scioccherello,» diceva Gavroche, che poi, pensieroso brontolava fra sé:
«Fa lo stesso. Se avessi dei marmocchi, li custodirei meglio di così.»
Mentre terminavano il loro pezzo di pane e raggiungevano l'angolo di quella brutta via Ballets, in fondo alla quale si scorge la porticina bassa ed ostile della Force:
«To'! Sei tu, Gavroche?» disse qualcuno.
«To'! Sei tu, Montparnasse?» rispose Gavroche.
Un uomo s'era avvicinato al monello: non era altri che Montparnasse travestito, con gli occhiali azzurri, ma riconoscibile per Gavroche.
«Caspita!» proseguì Gavroche «Hai una scorza color cataplasma di lino e gli occhiali azzurri, come un medico. Parola di vecchio, non manchi di stile!»
«Sst!» fece Montparnasse. «Non così forte!»
E tirò vivacemente Gavroche fuori del fascio di luce delle botteghe. I due piccini li seguirono macchinalmente, tenendosi per mano.
Quando furono sotto il buio archivolto d'un portone, al riparo dagli sguardi e dalla pioggia:
«Sai dove vado?» chiese Montparnasse.
«All'abbazia del Monte dei Rimpianti,» disse Gavroche.
«Burlone!»
E Montparnasse riprese:
«Vado a rivedere Babet.»
«Ah!» fece Gavroche. «Ella si chiama Babet.»
Montparnasse abbassò la voce.
«Non ella, ma egli.»
«Ah, Babet!»
«Sì, Babet.»
«Lo credevo impacchettato.»
«Ha slegato il pacco,» rispose Montparnasse.
E raccontò rapidamente al birichino che, la mattina di quello stesso giorno, Babet, trasferito alla Conciergerie, era evaso, prendendo a destra invece di prendere a sinistra, nel «corridoio dell'istruzione».
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