Gavroche ammirò l'abilità.
«Che dentista!» disse.
Montparnasse aggiunse alcuni particolari sull'evasione di Babet e finì dicendo:
«Oh, ma non è tutto.»
Mentre stava ascoltando, Gavroche aveva impugnato un bastone che Montparnasse teneva in mano e ne aveva macchinalmente tirato la parte superiore: comparve la lama d'un pugnale.
«Ah!» egli fece, ricacciando vivacemente indietro il pugnale, «hai condotto con te il tuo gendarme, travestito da borghese.»
Montparnasse strizzò l'occhio.
«Diamine!» riprese Gavroche. «Vai dunque ad azzuffarti coi cagnotti?»
«Non si sa mai,» rispose Montparnasse, con aria indifferente. «È sempre bene aver uno spillo indosso.»
Gavroche insistette:
«Che vai a fare, dunque, stanotte?»
Montparnasse prese di nuovo l'aspetto grave e disse, mangiando le sillabe:
«Una cosa.»
E, cambiando bruscamente discorso:
«A proposito!»
«Cosa?»
«Una storia di ier l'altro. Figurati: incontro un borghese, che mi regala un sermone e una borsa. Metto tutto in tasca. Un minuto dopo mi frugo in tasca e non c'è più nulla.»
«Fuorchè il sermone,» fece Gavroche.
«Ma tu,» riprese Montparnasse «dove vai, ora?»
Gavroche mostrò i suoi due protetti e disse:
«Vado a metter a letto questi ragazzi.»
«Metterli a letto, dove?»
«A casa mia.»
«E dove, a casa tua?»
«A casa mia.»
«Hai dunque una casa?»
«Sì, l'ho.»
«E dove abiti?»
«Nell'elefante,» disse Gavroche.
Montparnasse, sebbene poco facile a stupirsi per indole, non poté trattenere un'esclamazione:
«Nell'elefante?»
«Sì, proprio nell'elefante!» ribattè Gavroche. «Che c'è di strano?
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