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L'osservazione profonda del birichino ricondusse Montparnasse alla calma ed al buon senso; ed egli parve tornare a sentimenti più miti verso l'alloggio di Gavroche.
«Infatti...» disse «L'elefante, sì... Ci si sta bene?»
«Benissimo» fece Gavroche. «Proprio d'incanto. Non si sentono quegli spifferi d'aria che ci sono sotto i ponti.»
«E come fai a entrarci?»
«Entro.»
«C'è dunque un buco?» chiese Montparnasse.
«Perbacco! Ma non bisogna dirlo: è fra le gambe anteriori. Gli angeli custodi non l'hanno visto.»
«E ti arrampichi? Capisco.»
«In un attimo, cric, crac, è fatto: non c'è più nessuno.»
Dopo una pausa, Gavroche soggiunse:
«Per questi piccini prenderò una scala.»
Montparnasse si mise a ridere.
«Dove diavolo hai preso questi marmocchi?»
Gavroche rispose con semplicità:
«Sono marmocchietti che m'ha regalato un parrucchiere.»
Intanto Montparnasse era divenuto pensoso.
«M'hai riconosciuto molto facilmente,» mormorò.
Levò di tasca due piccoli oggetti, che non eran se non tubicini di penna d'oca avvolti nel cotone e se ne introdusse uno in ciascuna narice. Ciò gli dava un altro naso.
«Ecco una cosa che ti cambia aspetto,» disse Gavroche. «Sei meno brutto; li dovresti portar sempre.»
Montparnasse era un bel giovane, ma a Gavroche piaceva motteggiare.
«Scherzi a parte,» chiese Montparnasse «come mi trovi?»
Era anche un altro timbro di voce. In un batter d'occhio, Montparnasse era divenuto irriconoscibile.
«Oh! Facci il Pulcinella!» esclamò Gavroche.
I due piccini, che fino a quel momento non avevano ascoltato nulla, occupati a cacciarsi le dita nel naso, a quel nome s'avvicinarono e guardarono Montparnasse con un principio di gioia e di meraviglia.
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