È assai semplice che una stufa sia il simbolo di un'epoca, la potenza della quale è contenuta in una pentola. Quest'epoca passerà, anzi, sta già passando, poiché s'incomincia a capire che, se può esservi forza in una caldaia, non può esservi potenza se non in un cervello: in altre parole, ciò che guida e conduce il mondo non sono le locomotive, ma le idee. Le idee si faccian pur tirare dalle locomotive, ma non si scambi il cavallo col cavaliere.
Come che sia, tornando alla piazza della Bastiglia, l'architetto dell'elefante, col semplice gesso, era riuscito a fare qualche cosa di grande; l'architetto del tubo di stufa, invece, è riuscito a fare col bronzo cosa assai piccola.
Quel tubo di stufa, battezzato con un nome sonoro e chiamato la colonna di Luglio, quel monumento mancato d'una rivoluzione abortita, era ancora avvolto, nel 1832, in un'immensa camicia d'impalcature che, da parte nostra, rimpiangiamo, e da un gran recinto di tavole, che finiva d'isolare l'elefante.
E proprio verso quell'angolo della piazza, a mala pena illuminato dal riflesso d'un lontano lampione, il birichino diresse i due «marmocchi».
Ci sia permesso d'interromperci, per ricordare che qui siamo in piena realtà e che vent'anni or sono i tribunali correzionali ebbero a giudicare, sotto accusa di vagabondaggio e di guasto ad un monumento pubblico, un ragazzo sorpreso a dormire proprio nell'interno dell'elefante della Bastiglia. Ciò constatato, continuiamo.
Gavroche, giungendo vicino al colosso, comprese l'effetto che l'infinitamente grande può produrre sull'infinitamente piccolo, e disse:
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