«Bambocci, non abbiate paura.»
Poi entrò da una apertura della palizzata nel recinto dell'elefante ed aiutò i bimbi a scavalcare la breccia. I due, un po' spaventati, seguivan Gavroche senza dire una parola e s'affidavano a quella piccola provvidenza che aveva dato loro il pane e promesso un ricovero.
Là dentro, coricata lungo la palizzata, v'era una scala che di giorno serviva agli operai del vicino cantiere. Gavroche la sollevò con singolare vigore e l'appoggiò contro una delle gambe anteriori dell'elefante; verso il punto in cui la scala andava a far capo, si distingueva una specie di buco nero nel ventre del colosso.
Gavroche mostrò la scala e il buco ai suoi ospiti e disse:
«Salite ed entrate.»
I due fanciulletti si guardarono, atterriti.
«Avete paura, bambocci?» esclamò Gavroche, ed aggiunse:
«Adesso vedrete.»
Abbracciò il piede rugoso dell'elefante e in un batter d'occhio, senza degnarsi di adoperare la scala, giunse al crepaccio; v'entrò, come un colubro che s'insinui in una fenditura, vi si sprofondò e un momento dopo i due fanciulli videro vagamente apparire, simile ad una forma biancastra e scialba, la sua testa pallida sull'orlo del buco buio.
«Ebbene,» gridò «salite dunque, marmocchi! Vedrete come si sta bene! Monta, tu!» disse al maggiore. «Io ti stendo la mano.»
I piccini si toccarono colle spalle. Il monello li spaventava e li rassicurava ad un tempo; eppoi, pioveva forte. Il maggiore si arrischiò, mentre il minore, vedendo salire il fratello e trovandosi solo solo fra le zampe di quel bestione, aveva una gran voglia di piangere, ma non osava farlo.
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Gavroche Gavroche
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