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      Il maggiore saliva, sempre vacillando, i piuoli della scala; Gavroche, strada facendo, l'incoraggiava con esclamazioni da maestro d'armi ai suoi scolari o da mulattiere alle sue mule:
      «Non aver paura!»
      «Così, bene!»
      «Va' avanti!»
      «Metti il piede lì!»
      «La mano qui!»
      «Forza!»
      E, quando fu a portata di mano, l'afferrò vigorosamente e bruscamente per il braccio e lo trasse a sé.
      «Acchiappato!» disse.
      Il marmocchio aveva varcato il crepaccio.
      «Ed ora,» disse Gavroche «aspettami. Fate il favore di sedervi, signore.»
      E, uscendo dal crepaccio nello stesso modo che v'era entrato, si lasciò scivolare coll'agilità d'un uistiti lungo la gamba dell'elefante, cadde ritto in piedi nell'erba, afferrò il bimbo cinquenne per la vita e lo piantò proprio in mezzo alla scala; poi si mise a salire dietro di lui, gridando al maggiore:
      «Io lo spingerò e tu tiralo.»
      In un momento il piccino fu fatto salire, spinto, tirato, trascinato, infilato, fatto passare nel buco, senza che avesse il tempo di rimettersi dall'emozione; Gavroche, entrando dopo di lui e spingendo indietro con il tallone la scala, che cadde nell'erba, si mise a battere le mani e gridò:
      «Eccoci! Viva il generale Lafayette
      Poi, passata quell'esplosione di gioia, soggiunse:
      «Marmocchi, siete in casa mia.»
      Infatti, Gavroche era in casa sua.
      Oh, inattesa utilità dell'inutile! Carità delle grandi cose! Bontà dei giganti! Quello smisurato monumento che aveva contenuto un pensiero dell'imperatore era divenuto il guscio d'un monello: il bambino era stato accettato e ospitato dal colosso.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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