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      L'imperatore aveva avuto un sogno geniale: in quell'elefante titanico, armato e prodigioso, che ergeva la proboscide e portava la torre, facendo zampillare da ogni parte, intorno a sé, le acque gioconde e vivificanti, egli voleva incarnare il popolo; Dio ne aveva fatto una cosa più grande e vi ospitava un fanciullo.
      Il buco dal quale era entrato Gavroche era una breccia appena visibile dall'esterno, nascosto com'era, come abbiam detto, sotto il ventre dell'elefante; ed era così stretto, che soltanto i gatti ed i fanciulli vi potevan passare.
      «Cominciamo,» disse Gavroche «col dire al portinaio che non siamo in casa.»
      E tuffandosi nell'oscurità con sicurezza, come uno che conosca il suo appartamento, prese una tavola e con essa turò il buco.
      Poi Gavroche si rituffò nell'oscurità. I bimbi intesero lo stridìo del fiammifero immerso nella bottiglietta fosforica. Il fiammifero chimico non esisteva ancora e il fiammifero Fumade rappresentava a quell'epoca il progresso.
      Una luce improvvisa fece loro socchiuder gli occhi. Gavroche aveva acceso allora uno di quei lucignoli immersi nella resina, che prendono il nome di sorci di cantina; e quel sorcio, che fumigava più che non rischiarasse, rendeva confusamente visibile l'interno dell'elefante.
      I due ospiti di Gavroche si guardarono in giro e provarono qualcosa di simile a ciò che proverebbe chi venisse rinchiuso nella grande botte d'Eidelberga o, meglio ancora, a ciò che dovette provare Giona nel ventre biblico della balena. Tutto uno scheletro completo appariva al loro sguardo e li circondava: in alto, una lunga trave scura, dalla quale partivano ad intervalli regolari massicce ossature arcuate, raffigurava la colonna vertebrale colle costole e da essa pendevan stalattiti di calcinaccio, simili a visceri, mentre da una parte all'altra ampie ragnatele formavano diaframmi polverosi.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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