Qua e là, negli angoli, si vedevan grosse macchie nerastre che avevan l'aria di vivere e che si spostavano rapidamente, con un movimento brusco e sgomento.
I rottami caduti dalla schiena dell'elefante sul suo ventre ne avevan colmato la concavità, di modo che vi si poteva camminar sopra come su un pavimento.
Il più piccolo si strinse contro il fratello e disse a voce bassa «È buio.»
Quella parola fece erompere in esclamazioni Gavroche. L'aspetto impietrito dei due marmocchi rendeva necessaria una scossa.
«Che m'andate contando?» esclamò. «Brontoliamo? Facciamo gli schifiltosi? Vi occorron forse le Tuileries? Sareste due scemi? Ditelo; ma vi avviso che io non faccio parte del reggimento dei fessi. To'! Sareste forse i figli del mostardiere del papa?»
Una strapazzatina fa bene, nello spavento: rassicura. I due fanciulli s'accostarono a Gavroche.
Questi, paternamente commosso da quella fiducia, passò «dal grave al dolce» e, rivolto al piccino:
«Sciocchino,» gli disse, accentuando l'ingiuria con una sfumatura carezzevole «è fuori che fa buio. Fuori piove e qui no; fuori fa freddo e qui non v'è un filo di vento; fuori c'è un mucchio di gente e qui nessuno; fuori non c'è nemmeno la luna e qui c'è la mia candela, sacr...!»
I due bimbi incominciarono a guardare l'appartamento con minor sgomento; ma Gavroche non lasciò loro godere a lungo gli ozi della contemplazione.
«Presto,» disse.
E li spinse verso quello che noi siamo lietissimi di chiamare il fondo della camera. Là trovavasi il suo letto.
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