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      Però il piccino non si riaddormentava.
      «Signore?» riprese.
      «Eh?» fece Gavroche.
      «Che cosa sono i topi?»
      «Sono i sorci.»
      Questa spiegazione rassicurò un poco il fanciullo. Durante la sua vita, aveva veduto dei sorci bianchi e non ne aveva avuto paura; pure, alzò ancora la voce:
      «Signore?»
      «Cosa?» disse ancora Gavroche.
      «Perché non tenete un gatto?»
      «Ne ho avuto uno,» rispose Gavroche; «l'ho portato qui, ma me l'hanno mangiato.»
      Questa seconda spiegazione disfece l'opera della prima e il piccino ricominciò a tremare. Il dialogo fra lui e Gavroche riprese per la quarta volta.
      «Signore?»
      «Cosa?»
      «Chi è stato mangiato?»
      «Il gatto.»
      «E chi ha mangiato il gatto?»
      «I topi.»
      «I sorci?»
      «Sì, i sorci.»
      Il bimbo, costernato per quei sorci che mangiano i gatti, proseguì:
      «Signore, questi sorci mangerebbero anche noi?»
      «Perdiana!» fece Gavroche.
      Il terrore del fanciullo era al colmo; ma Gavroche continuò:
      «Non aver paura: non possono entrare qui. E poi ci sono io. To', prendi la mia mano. Taci, e ronfa.»
      Contemporaneamente, Gavroche prese la mano del piccino, al disopra del fratello; il fanciullo si strinse quella mano contro il petto e si sentì rassicurato. Il coraggio e la forza hanno tali misteriose comunicazioni. Il silenzio s'era rifatto intorno ad essi, poiché il rumore delle voci aveva sgomentato e allontanato i topi; in capo a pochi minuti, essi ebbero un bel tornare e far baccano: i tre marmocchi, immersi nel sonno, non sentivano più nulla.
      Così trascorsero le ore della notte. L'oscurità copriva l'immensa piazza della Bastiglia; un vento invernale soffiava a folate, misto alla pioggia, e le pattuglie che andavano rovistando porte, androni, recinti, tutti i luoghi scuri, cercando i vagabondi notturni, passavano silenziosamente davanti all'elefante.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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