Non eran passati tre quarti d'ora, dal momento in cui s'erano alzati in piedi sul letto, nelle tenebre, col chiodo in mano e col progetto in testa. Pochi istanti dopo, avevano raggiunto Babet e Montparnasse, che si aggiravano nei dintorni.
Nel tirare a sé la corda, l'avevano rotta, e un pezzo di essa era rimasta attaccata al camino del tetto. Del resto, non avevano altra avarìa, all'infuori di quella d'essersi pressappoco levata la pelle delle mani.
Quella notte, Thénardier era avvisato, senza che si sia potuto chiarire in quale modo, e non dormiva.
Verso l'una del mattino, mentre la notte era oscurissima, vide passare sul tetto, nella pioggia e nell'uragano, davanti la finestrella dirimpetto alla sua gabbia, due ombre. Una di esse si fermò davanti alla finestrella il tempo di dare un'occhiata: era Brujon. Thénardier lo riconobbe e comprese. Gli bastò quello.
Thénardier, segnalato come assassino e detenuto sotto imputazione d'agguato notturno a mano armata, era guardato a vista. Una sentinella, che veniva rilevata di due in due ore, passeggiava col fucile carico davanti alla sua gabbia. La Bell'Aria era rischiarata da una lampada a muro. Il prigioniero aveva i piedi in un paio di ferri del peso di cinquanta libbre; tutti i giorni, alle quattro pomeridiane, un guardiano scortato da due mastini (così si praticava ancora, a quell'epoca) entrava nella sua gabbia, deponeva vicino al letto un pane bigio da due libbre, una brocca d'acqua e una scodella piena d'un brodo piuttosto lungo in cui nuotavano poche fave, visitava i ferri e batteva sulle sbarre.
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