Passarono sette od otto minuti, ottomila secoli per Thénardier; Babet, Brujon e Gueulemer non aprivano bocca; finalmente, la porta si riaperse e comparve Montparnasse, che conduceva Gavroche. La pioggia continuava a render deserta la via.
Il piccolo Gavroche entrò nel recinto e guardò quelle facce di banditi con aria tranquilla; gli sgocciolava l'acqua dai capelli. Gueulemer gli rivolse la parola:
«Moccioso, sei un uomo?»
Gavroche alzò le spalle e rispose:
«Un ragazzo come me è un uomo e gli uomini come voi sono ragazzi.»
«Come ha la lingua sciolta, il moccioso!» esclamò Babet.
«Il fanciullo parigino non è fatto di paglia bagnata,» aggiunse Brujon.
«Che cosa vi occorre?» chiese Gavroche.
Montparnasse rispose:
«Arrampicare lungo quel tubo.»
«Con questa vedova,» fece Babet.
«E legare la corda,» continuò Brujon.
«In cima al muro,» riprese Babet.
«Alla traversa della finestra,» aggiunse Brujon.
«E poi?» chiese Gavroche.
«Nient'altro!» fece Gueulemer.
Il monello esaminò la corda, il tubo, il muro e le finestre e fece quell'inesprimibile e sdegnoso suono colle labbra, che significa: «Tutto qui?»
«V'è lassù un uomo che tu salverai,» riprese Montparnasse.
«Ci stai?» riprese Brujon.
«Che sciocco!» rispose il fanciullo, come se la domanda gli paresse superflua, e si levò le scarpe.
Gueulemer prese Gavroche per un braccio, indi lo pose sul tetto della baracca, le tavole imputridite della quale si piegavano sotto il peso del fanciullo, e gli consegnò la corda che Brujon aveva riannodata durante l'assenza di Montparnasse.
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