Il birichino si diresse verso il tubo, nel quale era facile entrare, grazie ad un ampio crepaccio che toccava il tetto. Nel momento in cui stava per salire, Thénardier, che vedeva avvicinarsi la salvezza e la vita, si sporse sull'orlo del muro; le prime luci del giorno gli imbiancavano la fronte inondata di sudore, gli zigomi lividi, il naso affilato e selvatico e la barba grigia incolta, e Gavroche lo riconobbe.
«To'!» disse. «È mio padre!... Ma! Questo non toglie...»
E, presa la corda fra i denti, incominciò risolutamente la scalata. Giunse al sommo della catapecchia, inforcò il vecchio muro come un cavallo e legò solidamente la corda alla traversa superiore della finestra.
Un momento dopo, Thénardier era in istrada.
Non appena ebbe toccato il lastrico, non appena si sentì fuori di pericolo, non fu più né stanco, né intirizzito, né tremante; le cose terribili dalle quali era uscito svanirono come fumacchi, tutta quella strana e feroce intelligenza si risvegliò e si trovò in piedi e libera, pronta a camminare avanti. Ecco quale fu la prima frase di quell'uomo:
«Ed ora, chi mangeremo?»
È inutile spiegare il significato di questa frase spaventosamente trasparente, che vuol dire ad un tempo uccidere, assassinare e svaligiare; mangiare nel senso suo vero, vale divorare.
«Tiriamoci qui in un angolo, ben bene,» disse Brujon. «Sbrighiamoci in tre parole e poi ci separeremo subito. C'era una faccenda che si presentava bene in via Plumet: una via deserta, una casa isolata, una vecchia cancellata arrugginita sopra un giardino e delle donne sole.
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