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«Ebbene, perché no?» chiese Thénardier.
«Tua figlia Eponina è stata a vedere la faccenda,» rispose Babet.
«Ed ha portato un biscotto alla Magnon,» aggiunse Gueulemer. «Nulla da fare, laggiù.»
«Mia figlia non è stupida,» fece Thénardier. «Pure, bisognerà vedere.»
«Sì, sì,» disse Brujon; «bisognerà vedere.»
Intanto, nessuno di quegli uomini aveva più l'aria di accorgersi di Gavroche, il quale, durante quel colloquio, s'era seduto sopra uno dei pilastrini della palizzata. Egli attese alcuni istanti, forse, che suo padre si voltasse verso di lui; poi si rimise le scarpe e disse:
«Finito? Non avete più bisogno di me, voi uomini? Eccovi a posto. Io me ne vado; bisogna che vada a far alzare i miei marmocchi.»
E se ne andò.
I cinque uomini uscirono l'uno dopo l'altro dalla palizzata. Quando Gavroche fu scomparso alla svolta della via Ballets, Babet prese in disparte Thénardier.
«Hai guardato quel ragazzo?» gli chiese.
«Quale ragazzo?»
«Quello che ha scalato il muro e t'ha portato la corda.»
«Non troppo.»
«Ebbene; non sono sicuro, ma mi pare che sia tuo figlio.»
«To'!» disse Thénardier. «Lo credi?»
E se ne andò.
LIBRO SETTIMOIL GERGO
I • ORIGINE.
«Pigritia» è una parola terribile.
Essa genera un mondo, la pègre (leggete: il furto) e un inferno, la pégrenne (leggete: la fame).
Così la pigrizia è madre: ha un figlio, il furto, e una figlia, la fame.
Dove siamo, in questo momento? Nel gergo.
Che cos'è il gergo? È la nazione e l'idioma nello stesso tempo; è il furto sotto le sue due specie, popolo e lingua.
Allorché, trentaquattr'anni or sono, il narratore di questa grave e triste storia introdusse in un'opera scritta allo stesso scopo di questa un ladro che parlava in gergo, vi furono ad un tempo stupore e chiasso.
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