V'è il gergo delle duchesse, come attesta la seguente frase, scritta in un bigliettino dolce da una grandissima signora e bellissima donna della restaurazione: «Troverete in quei cicalecci una intensità di motivi perch'io m'abbia a prendere licenza». Le cifre diplomatiche sono gergo; la cancelleria pontificia, dicendo 26 per Roma, grkzintgzyal per invio e abfxustgrnogrkzutu XI per duca di Modena, parla in gergo; i medici del medio evo, che, per dire carota, radice e navone, dicevano: Opoponach, perfroschinum, reptitalmus, dracatholicum angelorum e postmegorum, parlavano in gergo. Il fabbricante di zucchero che dice, da quell’onesto industriale che è: greggio, cima, purgato, stoppaccio, pane, melasso, pane bastardo, ordinario, raffinato, piastra, parla in gergo. Una certa scuola di critica di vent'anni fa, che diceva: Mezzo Shakespeare è gioco di parole e doppî sensi, parlava in gergo. Il poeta e l'artista che, con un senso profondo, qualificheranno il signor Montmorency «un borghese», s'egli non se ne intenderà di versi e di statue, parlano in gergo. L'accademico classico che chiama i fiori Flora, i frutti Pomona, il mare Nettuno, l'amore i fuochi, la bellezza gli allettamenti, un cavallo un corsiero, la coccarda bianca o tricolore la rosa di Bellona, il cappello a tricorno il triangolo di Marte, quell'accademico classico parla in gergo. L'algebra, la medicina e la botanica hanno il loro gergo; la lingua impiegata a bordo, quella mirabile lingua del mare, così completa e così pittoresca, che Giovanni Bart, Duquesne, Suffren e Duperré parlarono, che s'unisce al sibilar dei cordami, al fragore dei portavoce, al cozzo delle asce d'arrembaggio, al rollìo, al vento, alla tempesta e alla cannonata, è tutta un gergo eroico e sfolgorante che sta al selvatico gergo del furto come il leone allo sciacallo.
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