Il gergo, si voglia o no riconoscerlo, ha la sua sintassi e la sua poesia. È una lingua; e se, dalla deformità di taluni suoi vocaboli, si capisce che essa è stata biascicata da Mandrin, dallo splendore di certe metonimie si sente che l'ha parlata Villon.
Quel verso tanto grazioso e tanto celebre:
«Mais où sont les neiges d'antan?»
è del gergo. Antan — ante annum — è una parola del gergo di Thune che significava l'anno scorso, e per estensione, un tempo. Trentacinque anni or sono, all’epoca della partenza della grande catena del 1827, si poteva ancor leggere in una delle segrete di Bicêtre questa massima, incisa con un chiodo nel muro da un re di Thune condannato alla galera: Les dabs d'antan trimaient siempre pour la pierre du Coësre, il che significava: I re d'un tempo andavan sempre a farsi consacrare. Nel pensiero di quel re, la consacrazione era l'ergastolo.
La parola décarade, che esprime la partenza d'un pesante veicolo al galoppo, è attribuita a Villon, e ne è degna. Questa parola, che sprizza fuoco da quattro piedi, riassume in una magistrale onomatopea tutto il mirabile verso di La Fontaine:
«Six forts chevaux tiraient un coche».
Dal punto di vista purarnente letterario, pochi studi sarebbero più curiosi e fecondi di quello del gergo. È tutta una lingua in una lingua, una specie di escrescenza morbosa, un innesto malsano che ha prodotto una vegetazione, un parassita che ha le radici nel vecchio tronco gallico ed il cui fogliame sinistro s'arrampica su tutto un lato della lingua.
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