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      Mirlababi, surlababo,
      Mirliton ribon ribette,
      Surlababi, mirlababo,
      Mirliton ribon ribo.
     
      Questo si cantava, sgozzando un uomo in una cantina o in un recesso d'un bosco.
      Sintomo serio, nel diciottesimo secolo l'antica malinconia di queste classi sinistre si dissipa. Esse si mettono a ridere e pigliano in giro il gran dab e il gran meg; regnando Luigi XV, esse chiamano il re di Francia «il marchese di Pantin». Eccole quasi allegre; una specie di luce leggera esce da quei miserabili, come se la coscienza non pesasse più loro. Non solo quelle lamentose tribù dell'ombra hanno l'audacia disperata delle azioni, ma hanno pure la noncurante audacia della mente. Indice, questo, ch'esse perdono il senso della loro criminalità e sentono, perfino fra i pensatori ed i sognatori, un appoggio che questi ignorano; indice che il furto e il saccheggio incominciano ad infiltrarsi fino nelle dottrine e nei sofismi, in modo da perdere un po' della loro bruttezza e da darne molta ai sofismi ed alle dottrine; indice, finalmente, se non insorge alcuna diversione, di qualche prodigio prossimo a sbocciare.
      Fermiamoci un momento. Chi accusiamo qui? Il decimottavo secolo, forse? La sua filosofia? No, certo. L'opera del decimottavo secolo è sana e buona; gli enciclopedisti, Diderot alla testa, i fisiocrati, con Turgot, i filosofi, con Voltaire, e gli utopisti, con Rousseau alla testa, ecco le quattro legioni sacre. L'immensa avanzata dell'umanità verso la luce è loro dovuta; sono le quattro avanguardie del genere umano che vanno verso i quattro punti cardinali del progresso, Diderot verso il bello, Turgot verso l'utile, Voltaire verso il vero e Rousseau verso il giusto.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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