Soffi e nulla più, ma soffi sufficienti per turbare e per commuovere tutta quella natura. Potenza magica, che si stenterebbe a capire, se si leggessero in un libro codeste conversazioni, fatte per esser portate via e dissipate, come fumacchi, dal vento che passa tra le foglie. Levate ai mormorii di due innamorati la melodia che esce dall'anima e li accompagna come una cetra, e quel che rimane non è che ombra da far dire: «Come! È tutto qui?» Oh, sì! Fanciullaggini, ripetizioni, risate per nulla, inutilità, sciocchezzuole, tutto ciò che v'è al mondo di più sublime e di più profondo! Le sole cose che valgano la pena d'esser dette e d'essere ascoltate!
Oh! L'uomo che non ha mai udito, l'uomo che non ha mai pronunciato quelle sciocchezze, quelle inezie, è uno sciocco, un malvagio!
Cosette diceva a Mario:
«Sai?...»
(L'uso del tu, in tutto questo e attraverso questa celeste verginità, s'era fatto strada, senza che nessuno dei due potesse dire in che modo).
«Sai? Mi chiamo Eufrasia.»
«Eufrasia? Ma no, ti chiami Cosette.»
«Oh! Cosette è un nome bruttino che mi hanno dato chissà come, quand'ero piccina; ma il mio vero nome è Eufrasia. Non ti piace questo nome, Eufrasia?»
«Sì...; ma Cosette non è brutto.»
«Ti piace di più d'Eufrasia?»
«Ma... sì.»
«Allora anche a me piace di più. È vero: Cosette è grazioso. Chiamami Cosette.»
Ed il sorriso ch'ella aggiungeva faceva di quel dialogo un idillio degno d'un bosco celeste.
Un'altra volta, ella lo guardava fisso esclamando:
«Signorino, voi siete bello, siete grazioso, avete tanto spirito, non siete affatto uno sciocco e siete molto più sapiente di me; ma io vi sfido a questa parola: t'amo!
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