Gli avrebbero piuttosto strappato le unghie che non una delle tre sillabe sacre di cui si componeva quel nome ineffabile, Cosette. Il vero amore è luminoso come l'aurora e silenzioso come la tomba. Solo questo era cambiato in Mario, per Courfeyrac; il suo mutismo era raggiante.
Per tutto quel dolce mese di maggio, Mario e Cosette conobbero codeste immense felicità:
Litigare e darsi del voi, unicamente per meglio darsi del tu, poi;
Parlarsi a lungo, e nei più minuziosi particolari, di persone che non li interessavano affatto; prova di più che, in quell'incantevole opera, che si chiama l'amore, il libretto non conta quasi nulla;
Per Mario, ascoltare Cosette che parlava di nastri;
Per Cosette, ascoltare Mario che parlava di politica;
Ascoltare, ginocchio contro ginocchio, transitare le carrozze in via Babilonia;
Osservare lo stesso pianeta nello spazio o lo stesso verme lucente nell'erba;
Tacere insieme; dolcezza, questa, ancor più grande del parlare insieme; Eccetera, eccetera.
Pure, diverse complicazioni andavano avvicinandosi.
Una sera, Mario stava incamminandosi all'appuntamento, lungo il boulevard degli Invalidi e, al solito, camminava a fronte bassa. Mentre stava per svoltare l'angolo di via Plumet, sentì dire, vicinissimo:
«Buona sera, signor Mario.»
Alzò il capo, e riconobbe Eponina.
Ciò gli fece un effetto strano. Non aveva pensato più a quella ragazza, dal giorno in cui ella l'aveva condotto in via Plumet; non l'aveva riveduta e gli era completamente uscita dal pensiero. Aveva solo motivi di riconoscenza verso di lei, le doveva la sua presente felicità; eppure, gli dava noia incontrarla.
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