Ebbe ragione d'affrettarsi, poiché, pochissimi istanti dopo, sei uomini che camminavano separati e a qualche distanza gli uni dagli altri, lungo i muri, tanto che si sarebbero potuti scambiare per una pattuglia di ronda, entrarono in via Plumet.
Il primo che giunse alla cancellata del giardino si fermò e attese gli altri; un secondo dopo, eran riuniti tutti e sei, e si misero a parlare a bassa voce, in gergo.
«È qui,» disse uno di essi.
«V'è forse un in giardino?» chiese un altro.
«Non lo so. In ogni caso, ho portato una polpetta che gli faremo mangiare.»
«Hai il mastice per rompere il vetro della finestra?»
«Sì.»
«Il cancello è vecchio,» riprese un quinto, con una voce da ventriloquo.
«Tanto meglio,» disse il secondo che aveva parlato. «Così non griderà troppo sotto la sega e non sarà duro da falciare.»
Il sesto, che non aveva ancora aperto bocca, si mise a ispezionare la cancellata come aveva fatto Eponina un'ora prima, impugnando ciascuna sbarra e scuotendola con precauzione. Giunse così a quella che Mario aveva smossa; mentre stava per afferrare quella sbarra, una mano che usciva bruscamente dall'ombra gli si abbattè sul braccio e si sentì respingere vivacemente a mezzo il petto, mentre una voce roca gli diceva, senza gridare:
«C'è un .»
Nello stesso tempo, vide una ragazza pallida, rizzarglisi davanti.
L'uomo ebbe quel sussulto che dà sempre l'inatteso, con un'espressione orribile. Non v'è nulla di più terribile a vedersi delle bestie feroci inquiete: il loro aspetto sgomento è spaventoso.
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Plumet Eponina Mario
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