Gillenormand incrociò le braccia, gesto, in lui, particolarmente imperioso, e apostrofò Mario amaramente:
«Finiamola. Dicevate d'esser venuto a chiedermi qualche cosa. Ebbene, che cosa? Di che si tratta? Parlate.»
«Signore,» disse Mario, collo sguardo d'un uomo che senta di star per cadere in un precipizio «vengo a chiedervi il permesso d'ammogliarmi.»
Gillenormand suonò il campanello e Basco socchiuse la porta.
«Fate venir qui mia figlia.»
Dopo un secondo, la porta si riaperse e la signorina Gillenormand non entrò, ma apparve sulla soglia. Mario era in piedi, muto, colle braccia penzoloni e una faccia da colpevole; Gillenormand andava e veniva in lungo e in largo per la camera. Si voltò verso la figlia e le disse:
«Niente. È il signor Mario: ditegli buongiorno. Il signore vuole ammogliarsi: ecco tutto. Andatevene.»
Il suono di voce breve e rauco del vecchio annunciava uno strano rigurgito di collera. La zia guardò Mario con aria sgomenta, parve riconoscerlo a stento, non si lasciò sfuggire un gesto né una sillaba, e sparve al soffio del padre più presto che una festuca al soffio dell'uragano.
Intanto papa Gillenormand era tornato ad appoggiare le spalle contro il camino.
«Sposarvi! A ventun anni! Avete fatto presto! Avete solo un permesso da chiedere, una formalità! Sedetevi, signore. Ebbene; avete avuto una rivoluzione, da quando non ho più avuto l'onore di vedervi; i giacobini trionfano e voi avete dovuto essere contento. Non siete forse repubblicano, da quando siete barone? Sapete metter d'accordo le cose, voi; e la repubblica è una buona salsa per la baronia.
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