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      Ve ne scongiuro, in nome del cielo, a mani giunte. Mi metto ai vostri piedi, signore: permettetemi di sposarla!»
      Il vecchio diede in una risata stridula e amara, attraverso alla quale tossiva e parlava.
      «Ah, ah, ah! Voi vi siete detto: Perdiana! Andrò a trovare quel vecchio codino, quell'assurdo imbecille! Che peccato ch'io non abbia venticinque anni! Come gli scaraventerei una buona intimazione rispettosa! Come farei a meno di lui! Ma fa lo stesso. Gli dirò: <Vecchio cretino, tu sei troppo felice di vedermi; io ho voglia di sposarmi, voglio sposarmi colla signorina chissà chi, figlia del signore chissà chi; io non ho scarpe ed ella non ha camicia, ma non fa nulla; ho voglia di fare un tuffo nella miseria con una donna al collo; questa è la mia idea, e bisogna che tu acconsenta.> E il vecchio fossile acconsentirà. Va', ragazzo mio, fa' come vuoi, attaccati il tuo sasso al collo, sposa la tua Pousselevent, la tua Coupelevent... Oh, mai, signore!»
      «Padre mio!»
      «Mai!»
      Dall'accento con cui fu pronunciato quel mai, Mario perdette ogni speranza. Attraversò la camera a passi lenti, la testa china, vacillando, come uno che sia lì lì per morire. Gillenormand lo seguiva cogli occhi e, nel momento in cui la porta s'apriva e Mario stava per uscire, fece quattro passi con quella vivacità senile dei vecchi imperiosi e viziati, afferrò Mario per il bavero, lo ricondusse energicamente nella camera, lo scaraventò sopra una poltrona e disse:
      «Raccontami la faccenda.»
      Era stata quella sola frase, padre mio, sfuggita a Mario, a compiere quella rivoluzione.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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