Nessuno rispose. Era finita: non v'era nessuno nel giardino, nessuno nella casa.
Mario fissò gli occhi disperati su quella casa triste, nera, silenziosa e più vuota d'una tomba. Guardò la panca di pietra sulla quale aveva passato tante ore adorabili, accanto a Cosette; allora sedette sugli scalini d'ingresso, col cuore pieno di dolcezza e di risoluzione, benedisse in cuor suo l'amore e disse a se stesso che, dal momento che Cosette se n'era andata, non gli restava che morire.
Ad un tratto, sentì una voce che sembrava provenisse dalla via e che gridava attraverso gli alberi:
«Signor Mario!»
Si rizzò.
«Che c'è?» fece.
«Siete lì, signor Mario?»
«Sì.»
«Signor Mario,» riprese la voce «i vostri amici v'aspettano alla barricata della via Canapificio.»
Quella voce non gli era interamente ignota; rassomigliava alla voce roca ed aspra di Eponina. Mario corse al cancello, scostò la sbarra mobile, passò il capo attraverso e vide qualcuno, che gli parve un giovanotto, sparire correndo nel crepuscolo.
III • MABEUFLa borsa di Jean Valjean fu inutile a Mabeuf. Questi, nella sua venerabile austerità infantile, non aveva accettato il regalo degli astri né ammesso che una stella potesse trasformarsi in luigi d'oro. Non aveva indovinato che quanto era caduto dal cielo proveniva da Gavroche ed aveva portato la borsa al commissario di polizia del quartiere, come oggetto perduto, messo da chi l'aveva rinvenuto a disposizione dei reclamanti. La borsa, infatti, andò perduta; è inutile dire che nessuno la reclamò e ch'essa non diede alcun soccorso a Mabeuf.
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