Un volume alla volta, tutta la biblioteca passava di là. Talvolta egli diceva fra sé: «Eppure, ho ottant'anni,» come se avesse non so quale segreta speranza di giungere alla fine dei suoi giorni prima della fine dei suoi libri; e la sua tristezza andava crescendo. Una volta, tuttavia, ebbe una gioia.
Uscì con un Robert Estienne che vendette per trentacinque soldi sul lungo Senna Malaquais, e rincasò con un aldino che aveva comperato per quaranta soldi in via dell'Arenaria. «Sono in debito di cinque soldi,» disse, tutto raggiante, a mamma Plutarco. Quel giorno, non cenò.
Egli faceva parte della Società d'orticultura, dove la sua indigenza era nota. Il presidente di quella società venne a trovarlo, gli promise di parlare di lui al ministro dell'agricoltura e del commercio e lo fece. «Ma come!» esclamò il ministro. «Lo credo bene! Un vecchio dotto! Un botanico! Un buon vecchio inoffensivo! Bisogna fare qualche cosa per lui!» Il giorno dopo Mabeuf ricevette un invito a cena del ministro, e mostrò, tremando di gioia, la lettera a mamma Plutarco. «Siamo salvi!» disse. E, il giorno fissato, si recò dal ministro. S'accorse che la sua cravatta stazzonata, il suo ampio abito di vecchio stampo e le scarpe lucidate coll'albume d'uovo stupivano gli uscieri; nessuno gli parlò, neppure il ministro. Verso le dieci di sera, mentre stava sempre aspettando che gli rivolgessero la parola, sentì la moglie del ministro, una bella signora scollata alla quale non aveva osato avvicinarsi, che chiedeva: «Ma chi è dunque, quel vecchio signore?
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